QUELLA MANO INTRAVISTA

G., cinquantadue anni, viveva solo. Bancario, amava la sua professione: una collega diceva di lui che era persona molto attenta nell'aiutare chi avesse bisogno, ma in modo silenzioso. L'unica rete familiare era rappresentata dalla zia paterna, la quale adempiva ad una promessa fatta, in punto di morte, al padre di G., cioè che si sarebbe presa cura del nipote.

G. giunse all'Hospice Il Nespolo nella primavera del 2011.

Subito era apparso come persona riservata, la porta rimaneva chiusa. Si rifugiava nel computer, non desiderava la presenza di volontari e altre persone. Fra i parenti e gli amici, accettava solo la presenza della zia. Questa fase si è protratta almeno per un mese creando un po' di imbarazzo fra i volontari: nelle consegne, di turno in turno, veniva ribadito che il paziente non voleva parlare con nessuno. L'impossibilità di far qualcosa per lui creava una sorta di ansia nel gruppo dei volontari, vista anche la giovane età del paziente.

P., una volontaria, iniziò a presentarsi regolarmente alla sua stanza bussando: aspettava il permesso per entrare e, con la porta semi-chiusa, faceva solo un saluto con la mano, senza affacciarsi con il volto. G. rimase incuriosito da questa mano misteriosa che appariva salutando e spariva dietro la porta che si richiudeva. Un giorno, al momento della merenda, la volontaria entrò e G. chiese:

"Ma di chi è la mano che ogni tanto appare dalla porta e mi saluta?".

Da questo primo, inconsueto approccio è iniziata una forma di scambio e di apertura da parte di G.

Il percorso di G. in hospice era cominciato con un primo ricovero e successiva dimissione in seguito ad un lieve miglioramento. Alla fine del primo ricovero, non si era ancora aperto alcuno spiraglio coi volontari, cosicché, con gli operatori, si è pensato di organizzare una festa di saluto in suo onore, lasciandolo molto sorpreso ed emozionato.

Lui stesso confidò, in seguito, che quel periodo di dimissione gli aveva fatto sperimentare ancora di più la solitudine della sua vita (nonostante il contatto telefonico settimanale con P.).

G. è rientrato in hospice per un aggravamento della malattia. Subito è apparso una persona diversa. Si è aperto finalmente con operatori e volontari, cercando, anche, contatti con l'esterno.

Il suo nuovo atteggiamento è stato determinato proprio da quel 'saluto-con-la-mano': ha rivisto molti passaggi della sua esistenza rendendosi conto di aver abbassato troppe "saracinesche", scegliendo una vita di solitudine. Questo nuovo approccio con le persone lo lasciava stupito, meravigliato, facendo emergere un bisogno di relazioni affettive che prima aveva quasi sempre soffocato.

Ma ora la porta si è aperta: "Avete ucciso l'orso che era in me!".

G. si è accorto di essere giunto vicino al tempo del morire ed ha provato paura. È stato un momento faticoso, sia dal punto di vista fisico che emotivo. Doveva dipendere ancor più dagli altri (poiché ora si poteva spostare solo in carrozzina) e ciò lo turbava. Tuttavia, le relazioni instaurate con i vari volontari gli facevano percepire quel sostegno che lui stesso andava ormai cercando, ad esempio, attraverso la richiesta di lievi massaggi alla schiena, alle mani, per trarne un po' di sollievo. Durante questi momenti riusciva ad esternare le sue preoccupazioni, le ansie e le paure (ad una volontaria chiese del "Dopo…").

G. è morto di pomeriggio, assistito dalla zia e da un cugino.

STANZA 3: I Bucaneve

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