PULENTA E CUNÎI

Presto volontariato presso l'Hospice Il Nespolo di Airuno da un po' di tempo. Ci è stato chiesto di rintracciare nei nostri ricordi delle esperienze di vicinanza vissute con gli ospiti, o con i loro famigliari, che abbiamo incontrato nel nostro cammino di volontari e di narrarle. Premetto che non è facile scegliere di raccontare una storia piuttosto che un'altra, poiché ogni incontro è unico e speciale. Ho pensato di voler condividere due storie: quella di Antonio e quella di Carlo (v. "L'ultimo dono").

Ho incontrato Antonio in Hospice la scorsa primavera: un uomo dalla figura possente, molto alto, mani grandi. Antonio amava la terra, gli animali, spesso mi raccontava del suo campo coltivato con cura, dei suoi animali, dell'allevamento di conigli.

Scambiavamo spesso pensieri e immagini sul mondo della campagna, sulla bellezza della natura in primavera, sui metodi per coltivare questa o quella verdura.

Amavo chiamarlo "il gigante buono". Lui mi accoglieva chiamandomi "pulenta-e-cunîi", perché io sono bergamasca e ad entrambi piaceva il piatto tipico della festa delle nostre parti "polenta e coniglio". Un giorno, abbiamo cucinato "virtualmente" polenta e coniglio, citando tutti i passaggi della cottura della carne e confrontandoci su come cuocevamo la polenta. In quella "rappresentazione virtuale" lui era addetto alla polenta sul fuoco ed io alla cottura del coniglio. Per questo, quando entravo in turno e sentiva la mia voce giungere dalle scale, dalla stanza lui diceva: "l'è dré a' rià pulenta e cunîi".

Un pomeriggio in cui Antonio si sentiva poco bene, decidemmo di uscire in giardino; il clima era molto mite e, trasportati dal tepore dell'aria, abbiamo immaginato di "fare il fieno". Prima abbiamo discusso se farlo con la falce o con la motofalce, optando per la seconda che rendeva il lavoro meno faticoso. Lo abbiamo girato e rigirato finché il fieno era secco. Lui diceva che il fieno "scrichela", cioè che era secco al punto giusto, faceva rumore toccandolo. Infine abbiamo immaginato di rastrellarlo, imballarlo e lo abbiamo portato al fienile. Si sentiva anche il profumo, Antonio mi disse "L'è el magengh", che è il taglio dell'erba più prezioso perché avviene ai primi di maggio e inonda l'aria di un profumo intenso.

Antonio faceva fatica ad esprimere il suo affetto per la nipote, eppure la cercava sempre, chiamandola molte volte per nome. Con la nipote scambiai dei pensieri riguardo allo zio Antonio: lui era sempre stato personaggio un po' chiuso e burbero, poiché aveva quasi sempre vissuto da solo.

Ci venne spontaneo definire Antonio come un "melograno" dalla scorza dura ma all'interno ricco di tenerezza. Ho saputo che sulla tomba di Antonio è stato piantato un melograno. Per la nipote è stato molto importante capire quanto affetto provasse per lei lo zio e, allo stesso tempo, poter ricambiare in quei giorni lo stesso grande affetto che lei nutriva per lui. Alle volte, bastano piccole zattere per attraversare sponde di fiumi che da tanto tempo ci dividono.

L'incontro con Antonio mi ha donato molto: in lui ho rintracciato questa schiettezza contadina, pura, sincera. Ricordo i suoi occhi, il suo sguardo quando facevamo questi pensieri riguardo alla campagna ed era come se lui fosse proprio là, nella sua terra che amava tanto, e anche io mi sentivo in quel luogo insieme a lui.

In questa tipo di volontariato, si dice sempre che siamo più noi volontari a ricevere che a dare, sembra una frase fatta, ma è veramente così: è immenso il ritorno di sensazioni, pensieri, emozioni che questi incontri, in questo luogo, donano ogni volta.

STANZA 8: La Camelia

STANZA 8: La Camelia